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2 settembre 2021

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L’antindrangheta esiste e l’Italia non lo sa

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 di Maria Elena Saporito, Paola Costa, Lydia Masala


Sul palco di Trame si confrontano Danilo Chirico ed Enzo Ciconte, in un confronto moderato da Nuccio Iovene. Il centro del dibattito è di natura storica e simbolica: l’importanza della memoria della ‘ndrangheta ma soprattutto della memoria dell’antindrangheta, termine è relativamente nuovo. 
Come spiega Chirico, al momento della scrittura del suo libro non esisteva un referente linguistico per indicare questa realtà fatta di moti sociali, battaglie, attori: la stessa ideazione del termine si pone con fare innovativo; e a cambiare è l’approccio stesso nei confronti del tema. Il problema di fondo è che non si porta memoria del passato di ‘ndrangheta e di antindrangheta e, dimenticandoci degli eventi il passato si ripete. È importante porre le fondamenta per la memoria. È importante fornire i termini per riferirsi a questi concetti. La storia è piena di battaglie di antindrangheta che sono state quasi vinte, di piccoli risultati che sono stati raggiunti. È importante ricordare, avvalorarle, ripartire da lì. 
Ciconte nota come soprattutto i giovani siano quelli che fremono per conoscere di più questi temi. Sono i giovani che a suo parere stanno in prima fila ai suoi eventi, che vogliono conoscere per ricordare, capire, impegnarsi. 
Pone il problema dell’antindrangheta come lotta sociale, non delegabile alla sola magistratura: è già accaduto nella storia che in questa battaglia i calabresi non fossero lasciati soli e questo può e deve ripetersi. L’antindrangheta ha un enorme potenziale di collante sociale, non solo a livello regionale e questo deve essere avvalorato. L’antimafia è stata forte nel nostro paese quando colpiva cose vicine al popolo, ha permesso che milioni di persone mantenessero la fede nella democrazia.
Uscito nel giugno 2021, l’ultimo libro di Chirico, “Storie dell'antindrangheta”, ricostruisce i movimenti per l’occupazione delle terre, le lotte politiche e per il lavoro, le vertenze ambientaliste, le denunce della Chiesa, i conflitti sociali, i cortei studenteschi, le vicende personali e collettive di tutti coloro che in Calabria hanno combattuto una rischiosa battaglia contro la criminalità organizzata. 
Il saggio raccoglie storie dimenticate, indica percorsi di lotta per il movimento antimafia non solo in Calabria o nel mezzogiorno, ma per tutto il Paese. È descritta una Calabria diversa, una Calabria che si ribella e lotta contro il male guardandolo in faccia. Il merito di Chirico è quello di evidenziare l’importanza di un fenomeno che è cresciuto insieme alla 'ndrangheta, un fenomeno che Enzo Ciconte definisce "imponente", capace di smuovere diverse realtà che parevano inaccessibili.
Ciconte, in prefazione, indica tre di queste realtà: la Chiesa, che per oltre un secolo non ha contrastato la 'ndrangheta facendo finta di non vederla; le donne, figure potenti che incitano i propri uomini a staccarsi dai loro mondi e collaborare per la lotta alla libertà e che diventano parte attiva delle proprie realtà assumendo ruoli importanti a livello politico; i minori, i figli di mafiosi e i tentativi di strapparli da quei contesti di criminalità che, in un certo senso, gli vengono imposti. Tra gli episodi narrati e analizzati è fondamentale la manifestazione “Reggio-Archi” del 6 ottobre 1991, una ricostruzione della tradizionale Marcia per la Pace "Perugia-Assisi". Chirico è nato e cresciuto nel quartiere Archi di Reggio Calabria, una delle capitali mondiali della ‘ndrangheta. 
La sua è una generazione cresciuta in una “grande mistificazione” considerando normalità gli omicidi per le strade – “ne ammazzavano uno al giorno, nel 1991 in venti giorni ventidue omicidi”. Il ’91 è anche l’anno in cui si prova a rompere questa mistificazione a due facce: la prima locale, di calabresi su calabresi che considerano la ‘ndrangheta normale e l’antindrangheta inesistente; la seconda, a dimensione nazionale, che considera i calabresi un ammasso indistinto di ‘ndranghetisti che non si ribellano alla criminalità organizzata. 
Reggio Calabria ospita un corteo di decine di migliaia di persone che prese il via dal quartiere Archi, allora protagonista di una sanguinosa guerra di mafia, e cominciò a sfilare per le strade della città, rivendicando la pace e la liberazione dalla dittatura della 'ndrangheta.  
Questo libro rivendica ed esalta l’antimafia calabrese e, come afferma Enzo Ciconte “quello di Chirico è un merito importante perché chi leggerà il libro vedrà venire incontro fatti minuti, sconosciuti ai più, fatti importanti che sono stati dimenticati, eventi dirompenti che hanno lasciato una traccia duratura e permanente”.  
L’ultimo libro di Ciconte, “L’assedio. Storia della criminalità a Roma da Porta Pia a Mafia Capitale”, traccia invece un percorso sulla storia criminale di Roma, smentendo la teoria che a Roma la mafia non esista. Si riscrive la Storia partendo dall’Unità, scavando fra i documenti, affidandosi agli archivi, facendo luce sull’ “anima oscura” della Capitale. Evidenzia i mutamenti più significativi e l’insediarsi di varie realtà mafiose come Cosa nostra, Ndrangheta, Camorra, fino a giungere alla scoperta di quel “Mondo di mezzo” scoperchiato dall’inchiesta del procuratore Giuseppe Pignatone. 
Oltre ad analizzare storicamente la mafia a Roma, si descrive il suo insinuarsi nelle istituzioni attraverso corruzione e intimidazioni. Rilevante da constatare è il fatto che la criminalità a Roma sia stata spesso volutamente non vista o sottovalutata. Si tratta di un fondamentale punto di contatto tra il testo di Ciconte e quello di Chirico, che hanno entrambi il grande merito di portare alla luce una realtà non semplice da definire a causa della natura mutevole del fenomeno mafioso. La ‘ndrangheta, la criminalità organizzata in generale, cambia i suoi metodi di azione, non uccide più. 
Diventa sempre più complesso, dice Ciconte, descrivere mafie che si spostano, si radicano e agiscono in contesti molto diversi da quelli di origine, specie senza l’aiuto di una classe politica non responsabilizzata e incapace di imporsi nel rispetto della legge e nell’onestà intellettuale a partire dalla presentazione delle candidature nel clima caldo delle elezioni politiche regionali che a breve coinvolgeranno la Calabria.

 “Non possiamo permetterci il lusso di essere pessimisti...”

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di Lorenzo Zaffina e Valentina Ciambrone


“…e soprattutto non possiamo permettercelo in questo periodo storico”. A parlare, nel corso dell'incontro moderato da Giovanna Vitale è Raffaela Milano di Save The Children che, insieme a Giuseppe Provenzano (già Ministro per il Sud) e Giuseppe Smorto (giornalista), partecipano all’incontro intitolato “Resistere a Sud” nella seconda giornata del festival Trame.10. 
La Calabria, terra data per perduta nell’immaginario collettivo, è da lei definita come un ossimoro: “bellezza ed orrore allo stesso tempo”. Regione che incarna per eccellenza la questione meridionale, spesso dimenticata dallo scenario politico nazionale. I calabresi indossano le vesti sia di vittime, per la disattenzione delle Istituzioni italiane, che di carnefici, a causa delle scelte politiche compiute, ma soprattutto mancate, a livello locale.
Parlare di ingiustizie a volte però è astratto. Smorto, presenta una cruda realtà, riportando i dati che testimoniano un allarmante divario nord-sud, soprattutto nei confronti dei diritti di donne e bambini e pone a confronto due città italiane di pari abitanti, Reggio Calabria e Reggio Emilia, simili nel nome, ma non dal punto di vista dei diritti sociali garantiti (3 asili nidi presenti nella prima contro 60 nella seconda).
Raffaela Milano lancia l’allarme di una “zona rossa” dal punto di vista della povertà educativa, una delle ferite mai curate della realtà meridionale e soprattutto calabrese. La dispersione scolastica è prima di tutto un problema democratico, che va risolto anche ancorando la gestione dei fondi di ripresa alle comunità locali.
Sulla stessa linea è l’ex ministro Giuseppe Provenzano, che vede aperta una finestra di speranza che coinvolge giovani e adulti. Resistenza è sinonimo di liberazione da tutte quelle catene che tengono a freno il potenziale dei calabresi. “Il sud non è una causa persa”: per tornare a respirare bisogna avere il coraggio di non mollare.
È questo il momento di colmare le ingiustizie sociali, anche grazie alla nuova stagione di investimenti inaugurata dal PNRR, tramite patti educativi che puntano alla costruzione di infrastrutture sociali su cui fondare la cittadinanza attiva. 
Bisogna dare un’anima sociale all’azione di governo, al fine di soddisfare il desiderio, sempre più attuale, di vita in comune.
[23:18, 2/9/2021] Gentile Maria Francesca : “Non possiamo permetterci il lusso di essere pessimisti...”
“…e soprattutto non possiamo permettercelo in questo periodo storico”. A parlare, nel corso dell'incontro moderato da Giovanna Vitale è Raffaela Milano di Save The Children che, insieme a Giuseppe Provenzano (già Ministro per il Sud) e Giuseppe Smorto (giornalista), partecipano all’incontro intitolato “Resistere a Sud” nella seconda giornata del festival Trame.10. 
La Calabria, terra data per perduta nell’immaginario collettivo, è da lei definita come un ossimoro: “bellezza ed orrore allo stesso tempo”. Regione che incarna per eccellenza la questione meridionale, spesso dimenticata dallo scenario politico nazionale. I calabresi indossano le vesti sia di vittime, per la disattenzione delle Istituzioni italiane, che di carnefici, a causa delle scelte politiche compiute, ma soprattutto mancate, a livello locale.
Parlare di ingiustizie a volte però è astratto. Smorto, presenta una cruda realtà, riportando i dati che testimoniano un allarmante divario nord-sud, soprattutto nei confronti dei diritti di donne e bambini e pone a confronto due città italiane di pari abitanti, Reggio Calabria e Reggio Emilia, simili nel nome, ma non dal punto di vista dei diritti sociali garantiti (3 asili nidi presenti nella prima contro 60 nella seconda).
Raffaela Milano lancia l’allarme di una “zona rossa” dal punto di vista della povertà educativa, una delle ferite mai curate della realtà meridionale e soprattutto calabrese. La dispersione scolastica è prima di tutto un problema democratico, che va risolto anche ancorando la gestione dei fondi di ripresa alle comunità locali.
Sulla stessa linea è l’ex ministro Giuseppe Provenzano, che vede aperta una finestra di speranza che coinvolge giovani e adulti. Resistenza è sinonimo di liberazione da tutte quelle catene che tengono a freno il potenziale dei calabresi. “Il sud non è una causa persa”: per tornare a respirare bisogna avere il coraggio di non mollare.
È questo il momento di colmare le ingiustizie sociali, anche grazie alla nuova stagione di investimenti inaugurata dal PNRR, tramite patti educativi che puntano alla costruzione di infrastrutture sociali su cui fondare la cittadinanza attiva. 
Bisogna dare un’anima sociale all’azione di governo, al fine di soddisfare il desiderio, sempre più attuale, di vita in comune.

La mafia che canta: i neomelodici, il loro popolo, le loro piazze

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di Gilberto Villella e Ilenia Ciambrone


“La mafia che canta” è un libro di Calogero Ferrara e Francesco Petruzzella che analizza il connubio mafia-cantanti neomelodici. Protagonisti del dibattito, nella seconda giornata di Trame.10, sono stati la musica neomelodica, le sue potenzialità e il motivo della sua popolarità. 
La risposta è da ricercarsi in una spiccata facilità di linguaggio e di messaggio, in quanto si vuole tutto e subito senza sforzo.  Un ulteriore riscontro risiede nei social network, che semplificano la divulgazione dei messaggi di odio del sistema malavitoso. 
Le fondamenta di questo consenso hanno radici storiche: fin dagli anni ’70, spiegano gli autori, il dialetto napoletano riuscì ad attecchire nei quartieri palermitani. Venne creata un’asse di lavoro criminale tra Napoli e Palermo, in particolare nel contrabbando di tabacchi. Fu un’influenza così potente da incidere perfino sulla metodologia di omicidio adoperata dai mafiosi. 
Tutt’ora la compenetrazione tra le due culture è la carta vincente per la diffusione di questa condotta.
Laddove c’è richiesta di consenso c’è un’offerta fornita da quelli che vengono definiti “Neomelodici di Terza Generazione”, tramite i loro mezzi. 
Infine, hanno osservato gli ospiti dell’evento, si commette l’errore di sottovalutare le connessioni tra cantanti neomelodici e mondo della politica: non è infatti insolito che personaggi del panorama politico affianchino certe idee e che entrambi questi schieramenti si ritrovino d’accordo nel malvedere all’opera la giustizia.

MANI LIBERE IN CALABRIA- Carmine Zàppia e il coraggio di denunciare

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di Chiara Grutteria e Jacopo Saturno

“Mani Libere in Calabria” è il progetto finanziato dal PON Legalità gestito dal Ministero dell’interno che si avvale dell’aiuto di diversi professionisti per aiutare gli imprenditori sul territorio calabrese, fornendo assistenza dal punto di vista legale, economico e psicologico e raggiungendo un numero maggiore di vittime grazie allo sportello ambulante ideato per arrivare anche nelle aree più difficilmente collegate. 
Tra i sempre più numerosi cittadini che decidono di lavorare con le Istituzioni c’è Carmine Zàppia. 
La sua è una storia simile a tante altre sul territorio; Zàppia gestiva una tabaccheria, prima che la criminalità organizzata attraverso Antonio Mancuso, boss dell’omonimo clan mafioso di Limbadi, si presentasse a chiedere il pizzo. Per mesi Mancuso, avvalendosi dei suoi sottoposti, ha esercitato pressioni sull’imprenditore nel tentativo di costringerlo a pagare decine di migliaia di euro e, in seguito, a cedere la proprietà. 
Ciò che distingue la storia di Zàppia da tante altre è la sua coraggiosa decisione di rivolgersi alle autorità denunciando gli aguzzini, il 4 maggio 2019. 
Il 4 settembre 2020 ha potuto riaprire la sua tabaccheria, con il sostegno delle istituzioni. In seguito all’operazione „Maqlub“ (che in arabo significa “ribaltamento”) il boss Antonio Mancuso è stato condannato a dieci anni e sei mesi di reclusione, insieme a suo nipote Alfonso Cicerone, condannato a nove anni e otto mesi con rito abbreviato. 
“Quella della denuncia è l‘unica via”, è il consiglio di Zàppia a tutti gli imprenditori che vivono la sua stessa situazione.

Verrà mai arrestato Matteo Messina Denaro?

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di Maria Elena Saporito e Lydia Masala


A Trame.10 la proiezione della docu-inchiesta sulle tracce del superlatitante Matteo Messina Denaro, curata da Giovanni Tizian e Nello Trocchia.
Matteo Messina Denaro, “il grande assente”, è un boss imprendibile da ormai 28 anni, responsabile della strategia stragista che ha insanguinato l’Italia nel 1992 e 1993. Nato nel 1962 a Castelvetrano, in provincia di Trapani, figlio di capomafia e rampollo d Totò Riina, latita a seguito delle accuse per associazione di stampo mafioso, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materie esplodenti, furto nonché di essere uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Fu tra gli organizzatori, tra l’altro, del sequestro nel 1993 del piccolo Giuseppe Di Matteo, che fu poi strangolato e sciolto nell’acido.
Per far funzionare la fuga crea un’alternativa alla mafia di primo conio, più legata ai vincoli famigliari, a reati specifici come l’estorsione, volgendo verso una mafia imprenditoriale. 
Nel documentario lo scarto è reso evidente da Totò Riina che, a proposito di Messina Denaro, dice testualmente “chillu s’occupa di pale”, [quello si occupa delle pale eoliche] visto l’interesse del boss trapanese ad accumulare capitali attraverso le energie alternative. Un’immagine che rende chiaro il totale disinteresse della “vecchia mafia” a questa nuovo modo di alimentare la criminalità.
Matteo Messia Denaro, sottolinea Trocchia, è infatti un amante della bella vita, delle belle donne. Ha avuto numerosi rapporti sentimentali durante la latitanza e addirittura una figlia. Perché possa portare avanti un tale stile di vita anche in clandestinità e alimentare quel potere e quella rete necessita di denaro, di complici e soprattutto di imprenditori che lavorino e offrano lavoro. Fa quindi transitare la mafia verso una fase nuova, più imprenditoriale, più degli affari. A fronte delle stragi sul continente si occupa di creare una connessione nuova con la politica, anche in seguito alla fine del sistema pentapartito. È un latitante che è riuscito a portare la mafia in una nuova e compiuta dimensione imprenditoriale. 
Questo non basta però a renderlo uno degli uomini più ricercati al mondo; di Messina Denaro si sa ancora poco e il mistero concorre a creare un alone quasi mistico intorno alla sua figura. Per Trocchia esistono fatti, quali la sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino e della “valigia dei segreti” di Totò Riina, e supposizioni per cui questi potrebbero essere nelle mani di Messina Denaro. Il giornalista ricorda l’imperativo di distinguere tra benefattori come Falcone e Borsellino che perseguivano la strada della giustizia e della legalità, in condanna di qualsiasi tipo di interlocuzione, e altri attori che invece riconoscendo la mafia come potere presente sul territorio ci fanno affari. Quando si è stati vicini alla cattura ci sono state talvolta fughe di notizie, talvolta retate che hanno portato all’arresto dell’ultimo anello prima di lui. Queste non sono chiaramente prove ma tracce che, secondo Trocchia, ci dicono che rapporti di questo tipo sono una realtà; non spiegano la mancata cattura ma forniscono un contenuto di comprensione sul perché non sia ancora avvenuta.
Il potere di Matteo Messina Denaro è pervasivo anche se visto dal punto di vista della legittimità percepita: il cittadino riconosce l’imprenditoria mafiosa come attiva e presente mentre quella di Stato come passiva, assente e fallimentare. Questo elemento segna ancora la presenza mafiosa radicata nel territorio. La percezione che emerge anche nel documentario è che l’imprenditoria che agisce in un territorio a guida mafiosa sia quella che sta in piedi e che invece di contro l’imprenditoria con il marchio di Stato sia fallimentare – riferendosi in particolare alle aziende confiscate. 
È spontaneo domandare a Trocchia se secondo lui Messina Denaro verrà mai arrestato. La risposta è affermativa perché “come diceva Falcone è la mafia è un fenomeno umano e altrettanto lo sono i mafiosi”. Il giornalista prende a esempio Bernardo Provenzano, catturato nel 2006 in periodo di elezioni politiche, dopo 14 anni di latitanza. Un confidente aveva tuttavia individuato e permise alle forze dell’ordine di scoprire il covo del boss latitante già molti anni prima, ma il boss è riuscito a assicurarsi la libertà attraverso l’uccisione del confidente. Messina Denaro verrà sicuramente arrestato, ma quando e in che condizioni non si sa: il documentario si chiude con: “siamo sicuri che tutti vogliano prenderlo vivo e sano di mente?”. Trocchia teme di no, ciò non significa che non lo prenderanno ma che “uno che ama la vita sfarzosa sicuramente è refrattario al carcere”. Dopo una latitanza che latitanza non è stata, passare il resto della vita in carcere è una prospettiva che sicuramente lo spingerebbe a parlare, ma se parlasse distruggerebbe un sistema. Inoltre, ritiene Trocchia, se dovessero arrestarlo vivo e sano di mente “non molti saranno contenti neanche tra i buoni” – è importante infatti non dimenticare le zone grigie. L’arresto di Messina Denaro potrebbe obiettivamente, quindi, scompaginare un intero sistema. Per il momento, le ipotesi sono molte e arrivano presunti identikit da ogni parte del mondo ma Trocchia sente di dar credito alla dichiarazione di un amico del boss, Giuseppe Fontana detto Rocky, che sostiene che se Messina Denaro fosse morto avrebbero già consegnato il corpo per “liberare Castelvetrano dalla cappa del controllo di Stato e lasciare stare la famiglia”.

Da ‘violenta’ a ‘contesa’

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di Lorenzo Zaffina e Valentina Ciambrone

Quattro mani, due penne, un libro per raccontare un’unica storia: l’evoluzione della ‘ndrangheta, vista dagli occhi di padre e figlia, a distanza di trent’anni.

Ne parlano insieme al giornalista Pietro Comito, Anna Sergi, autrice del libro La Santa ‘Ndrangheta  da ‘Violenta’ a ‘contesa’ (Pellegrini Editore) e Enzo Ciconte che ne scrive la prefazione, durante il primo incontro della seconda giornata di Trame.10, presso il chiostro di San Domenico,  a Lamezia Terme. 
Il punto di partenza è una domanda che suscita riflessione: come è cambiata la ‘ndrangheta nel tempo? 
Le due facce della medaglia, quella di ieri e quella di oggi, sono descritte nelle due parti in cui è suddiviso il libro. Un unicum contenente un salto temporale che va dal 1991, anno in cui è pubblicato il volume La ‘Santa’ violenta di Pantaleone Sergi,  al 2021, anno in cui la figlia Anna affianca al volume integrale del padre la sua moderna analisi.
Alla scrittura giornalistica di Pantaleone Sergi, segnata da passaggi struggenti di alta letteratura, si contrappone il rigore scientifico della figlia Anna, che con il suo approccio da studiosa dà un seguito alla storia lasciata in sospeso dal padre nel ’91. L’autrice, forte della sua esperienza nella criminologia, è il faro che illumina le complessità della ‘ndrangheta e il suo cambiamento nel tempo. Dalla sua analisi si evince che, così come è cambiata la società, di conseguenza si è evoluta anche la criminalità: essa infatti è meno violenta e intimidatrice, ma sempre più ossessionata dall’acquisire consenso. Una ‘ndrangheta a cui “piace piacere” e che paradossalmente più uccide e più dimostra la sua debolezza.
E’ difficile conciliare la complessità del fenomeno con la brevità e sinteticità che la società di oggi richiede sempre più, ma La Santa ‘Ndrangheta da ‘Violenta’ a ‘contesa’ risulta un mezzo per rinfrescare la memoria, spesso troppo corta (di proposito o no?).