Ilda Boccassini, ex magistrata e Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Milano, discute del suo libro La stanza numero 30. Cronache di una vita (Feltrinelli) con il giornalista Lionello Mancini.La stanza numero 30 ha rappresentato il luogo di una vita, l’ufficio alla Procura di Milano in cui Boccassini ha trascorso quasi tutta la sua carriera. Non l’ha mai voluta lasciare e, dichiara, per quella stanza non ha nostalgia, né rimpianti, né rimorsi: “da anni non mi ritrovavo più nel mio ambiente, quello che vedevo intorno a me non mi piaceva più”. L’ex magistrata sottolinea di aver voluto mettere su carta il lavoro di trent’anni per i propri figli, per i propri nipoti, “per dire loro che nonostante tutto erano la ragione della mia vita e per rivendicare il diritto di non aver rinunciato a nulla”. In merito all’allontanamento dalla famiglia per indagare sulle morti di Falcone e Borsellino, un periodo difficile emotivamente per la perdita di un collega e amico e non solo per la distanza da casa, ricorda la scelta come guidata dal senso del dovere e dalla necessità di fare giustizia. “Il 23 maggio 1992 ero a Milano, appena appresa la notizia mi sono precipitata a Palermo, ci sarei arrivata a qualunque costo e con qualunque mezzo”. Boccassini ritiene che delle stragi si sia parlato troppo e male, sottolineando che Falcone non sia stato supportato e anzi sia stato isolato in vita e, da morto, non valorizzato abbastanza per il suo lavoro: “Per capire la grandezza di un uomo come Falcone bisogna leggere ciò che ha fatto perché non tutto ciò che si dice è vero”, afferma, aggiungendo che qualcuno debba ammettere di aver sbagliato e scusarsi per il trattamento riservato a Falcone.
Boccassini ripercorre trent’anni di carriera in cui le cattiverie, le minacce verbali e fisiche sono state una costante, in particolare nel periodo dal 1996 al 2004 in cui si sono intensificati gli attacchi sui giornali di proprietà di Silvio Berlusconi a causa delle indagini della magistrata sul cosiddetto processo Ruby. Siamo nel periodo delle leggi ad personam concepite appositamente per bloccare i processi, periodo in cui Boccassini si trova a fare i conti con “l’idea di essere da sola, non poter vedere nessunoe con la consapevolezza di essere sotto attacco e in pericolo, destinataria di missive in cui mi dicevano che avrei fatto la stessa fine di Franca Rame”. Ricorda con rammarico e rabbia le critiche a lei indirizzate per la scelta di seguire le indagini sulle stragi a Caltanissetta, le accuse di aver abbandonato i propri figli, “accuse che non sarebbero mai state destinate a un padre e solo a una madre”. Tra gli attacchi più duri, per la magistrata, le continue ispezioni nel proprio ufficio iniziate peraltro nel periodo in cui assisteva la figlia ricoverata in ospedale per una grave malattia.
La conclusione dell’incontro assume toni politici legati all’attualità: la discussione si sposta sulla penultima tornata milanese per il cambio di Procuratore, per cui la stessa Boccassini aveva fatto domanda. “Luca Palamara aveva dato una chiave di lettura diversa di questi fatti”, sottolinea il moderatore Mancini. “L’imputato Palamara per anni è stato protagonista di ciò che in magistratura esiste da sempre: il sistema delle correnti, che non premia il merito. Con lo scandalo Palamara il mondo ha saputo di questo mercimonio, ma tutti sappiamo che non è certo l’indagine Palamara che fa scoprire questo. Si sa da sempre che nel momento in cui entri in magistratura ti devi legare a un carro e avere un carnet dei numeri di telefono, tra cui quello mitico di Cosimo Ferri assolutamente a disposizione: io non ho mai stretto la mano a Palamara perché non l’ho mai stimato come collega, e giustamente nel suo libro dice che la Boccassini non è stata neanche presa in considerazione dall’inizio come Procuratrice di Milano perché non è legata a correnti e non è legata alla politica”. Boccassini conclude con una riflessione sui valori che per trent’anni hanno guidato il suo impegno: collaborazione proficua con le persone che ha avuto accanto, autonomia e indipendenza, spalle dritte.