«Il 23 maggio 1992 avevo dieci anni. Ero un bambino ma portavo un carico di dolore sulle spalle e nel cuore che quelle macerie di asfalto e lamiere di Capaci rendevano se possibile ancora più insopportabile. Quella bomba fu l’inizio della fine, capimmo che se neanche il celebre pool antimafia di Palermo poteva niente contro la mafia, come avremmo potuto noi soli e abbandonati dalle istituzioni, in una Calabria ridotta in schiavitù, combattere contro le feroci cosche della ʼndrangheta che avevano ucciso mio padre?»
Le stragi del 1992 hanno lasciato un segno indelebile nella memoria di tutti gli italiani.Trent’anni fa Giovanni Tizian era un ragazzo di dieci anni, già orfano del padre ucciso dalla ʼndrangheta. In questo memoir appassionato ripercorre il ricordo drammatico della scia di sangue che ha unito in un filo comune la sua famiglia a quelle delle tante altre vittime e traccia un amaro bilancio: sono trascorsi trent’anni ma quel 1992 che doveva trasformare l’Italia ha lasciato ogni cosa immutata. Quel dolore collettivo non ci ha cambiati, ha solo prodotto una breve indignazione. Per il resto tutto è rimasto come prima: la cultura mafiosa, la prepotenza, l’umiliazione degli ultimi, dei più deboli, di chi è sotto ricatto. I tratti tipici della mafiosità li ritroviamo purtroppo ancora in ampi strati della società.In queste pagine, trent’anni della nostra storia letti prima con gli occhi di un bambino già ferito nel suo diritto all’ingenuità per la violenza che gli si dispiega intorno; poi con gli occhi del ragazzo che cerca con la sua famiglia un nuovo inizio nella ‘normale’ Emilia; infine con gli occhi del giornalista che da anni si occupa delle trame torbide del potere. Perché anche quando sembra impossibile ottenere giustizia e verità, può e deve rimanere il desiderio di lottare.