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Claudio Fava a Trame Festival: "La memoria tradita delle vittime di mafia"

Un incontro con Giacomo Di Girolamo per ricordare Giuseppe Fava e riflettere sul depistaggio della verità

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di Stefania Tavella

 

La “memoria tradita” è stata al centro dell’incontro tenutosi nella quinta giornata del Trame Festival che ha visto sul palco Claudio Fava e il giornalista Giacomo Di Girolamo. Il dialogo è partito dal ricordo di Giuseppe Fava, padre di Claudio e fondatore della rivista “I siciliani” assassinato da Cosa Nostra nel 1984 e ricordato attraverso il suo libro “La maestra e il diavolo”, edito da Navarra Editore. 
“La maestra e il diavolo” è un racconto di ribellione e un monito a ciascuno di noi: il diavolo di cui si parla nel romanzo risiede nella nostra capacità di abituarci a tutto ciò che accade, «forse, più che immaginare il diavolo come un qualcosa di esterno, dovremmo capire che è in ognuno di noi», ha detto Claudio Fava. 
«Giuseppe Fava è stato assassinato perché era una voce fuori dal coro, – ha affermato – una spina nel fianco. In un momento in cui il giornalismo in Sicilia preferiva non parlare del fenomeno mafioso, chi cercava, invece, di far emergere la dinamica del potere che si celava dietro di esso commetteva un errore imperdonabile». Prima di lui, ha ricordato Fava, anche Peppino Impastato si era allontanato dalla narrazione canonica dei fatti, «addirittura smontando la mitologia della mafia attraverso la risata e rivelando come la mafia stessa fosse un gigante dai piedi d’argilla». 
Fava ha poi invitato il pubblico a riflettere sugli altri omicidi di quegli anni, a partire da quello di Paolo Borsellino, la cui verità non è mai venuta a galla a causa del più grande depistaggio della storia italiana, «non un atto di mafia, ma un atto di Stato», ha detto a gran voce, denunciando «una certa liturgia della memoria – ha continuato - , per la quale siamo portati a ricordare i nostri morti una volta all’anno, ormai abituati a dosi continue di veleno e menzogna». Secondo Fava, ciò che dobbiamo chiederci non è tanto chi ha ucciso Paolo Borsellino, ma piuttosto cos’è accaduto a partire dalla sera del 19 luglio.
La memoria tradita è, dunque, quella delle vittime di mafia, per le quali non si è cercato di risalire alla verità, continuando ad alimentare quel sistema di potere mafioso che vede coinvolte le istituzioni e che si regge sull’impunità dei colpevoli.
«Se Paolo Borsellino potesse parlare con noi oggi – ha concluso – ci parlerebbe del modo in cui abbiamo deciso di non accorgerci di nulla».

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