La vicenda di Francesco Sinclari ripercorre il copione di molte altre storie già raccontate: si tratta di un imprenditore che opera nel campo dell’edilizia che non si vuole piegare alle logiche mafiose e decide di denunciare. L’incipit ha inizio nel momento in cui Sinclari incontra due PM: si tratterà, più che di un incontro vero e proprio, di uno scontro, a causa della ormai radicata idea nella testa dell’imprenditore di non potersi fidare e di non potersi affidare alle istituzioni.
Saranno le parole di uno dei due magistrati che gli faranno cambiare prospettiva: “Francesco, si liberi!”. Ha inizio da qui il percorso di autoconvinzione che convincerà Sinclari a denunciare. Si tratterà di un iter lungo, dapprima segnato dalla totale impossibilità di fare parola con nessuno della sua decisione, fino al momento in cui, durante un viaggio in macchina, riceverà una telefonata che comunicherà la necessità di mettere sotto scorta lui e la sua famiglia.
È il momento di informare i propri cari, di metterli a conoscenza della propria decisione, una decisione che condizionerà anche la vita dei suoi figli, in studio fuori regione. Francesco con molto orgoglio ci racconta che avrà il supporto di tutta la sua famiglia e non solo: anche i suoi dipendenti lo aspetteranno a braccia aperte in cantiere, condividendo con lui la sua scelta.
Da quel momento alla porta della sua abitazione e a quella del suo ufficio non si presenterà più nessuno per fare “strane richieste”,ma busseranno solo persone oneste in cerca di occupazione. È l’inizio della svolta, una conoscenza comune lo porta a relazionarsi con Tano Grasso e con lui fonderà la prima associazione antiracket su territorio regino, una realtà che conta già sedici membri e che fa ben sperare.
È in questo luogo familiare che gli imprenditori che hanno deciso di reagire cominciano a raccontare le loro storie, il luogo in cui condividere i propri stati d’animo e le proprie sicurezze, il luogo in cui liberarsi.