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La memoria come filo conduttore di Trame 13

L'esposizione di Valentino Petrelli sul “Caso Africo” racconta la miseria e la resilienza di un paese dimenticato

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di Martina Nisticò

 

Quest’anno la tredicesima edizione di Trame, il festival dei libri sulle mafie, ha come filo conduttore il tema della memoria. Oltre allo spazio dedicato ai libri e le testimonianze, il festival ha deciso di aprire le sue porte anche all’arte e alla fotografia. Nel Chiostro di San Domenico, infatti, è esposta la raccolta fotografica di Valentino Petrelli sul “Caso Africo” visitabile fino a domenica 23 giugno. Immagini di vita quotidiana di una popolazione che, per decenni ha vissuto nella miseria più totale. 
Il progetto nacque proprio dalla volontà di denunciare le condizioni di vita di questi uomini e donne, definite “primitive” proprio dallo stesso Petrelli e dal giornalista Tommaso Besozzi, con cui condusse questa inchiesta nel lontano marzo 1948. Nello stesso anno, infatti, il settimanale “L’Europeo” si era occupato della questione Africo. La scelta di questo paese non era casuale, in quanto la città incarnava a pieno il problema della “questione meridionale” e il totale disinteresse dei poteri dello Stato, durante il regime fascista, nei confronti del meridione nel secondo dopo guerra. 
Gli abitanti in quell’anno ammontavano a poco più di 2.000, la vita di questa popolazione era vissuta al limite del disumano: un paese irraggiungibile se non a piedi, nonostante si trattasse quasi degli anni ’50, la totale mancanza di acqua potabile e di luce elettrica e l’assenza di assistenza medica per decine di chilometri. L’indagine racchiudeva quarantotto immagini che riscossero un enorme successo, ottenendo l’attenzione dell’opinione pubblica nei confronti di questo paese dilaniato dall’indifferenza generale. 
I protagonisti delle immagini sono famiglie. Madri che preparano cibi tipici della tradizione in condizioni igieniche estremamente precarie, bambini che giocano per strada senza scarpe, il bestiame che, in mancanza di spazio, spesso viveva con le stesse famiglie nelle abitazioni di già piccole dimensioni. L’unico spiraglio di interesse di uno Stato totalmente insensibile nei confronti di questo popolo era la disponibilità d’istruzione per i bambini; tuttavia, anch’essa svolta in contesti poco adeguati. 
La situazione di questo popolo, già in estrema difficoltà, venne ulteriormente aggravata nell’ottobre 1951, quando un’alluvione colpì il paese distruggendolo completamente. Proprio grazie al lavoro di Besozzi e Petrelli, fu possibile ottenere l’attenzione e le risorse necessarie alla sua ricostruzione nonostante, fino a quel momento, Africo fosse paragonabile ad una “città fantasma”. Il paese venne ricostruito negli anni successivi ad una distanza di però 30km dalla sua ubicazione originaria e venne denominato “Africo Nuovo”. La memoria di quegli uomini e quelle donne, delle loro vite e la memoria, vengono tuttavia tenute ancora in vita attraverso quelle immagini che furono in grado di smuovere la coscienza di uno Stato, fino ad allora, non curante. 

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