di Giovanna Ruberto e Giovanna Vescio
Con la presentazione de “Il Dio dello stretto” dell’autore Vins Gallico, ci si avvia verso la conclusione della seconda giornata di Trame Festival 12. A moderare l’incontro è il giornalista Giuseppe Smorto. L’autore, originario di Melito Porto Salvo, ambienta il suo libro a Reggio Calabria nella seconda metà degli anni Novanta. Contrariamente all’ambientazione, il protagonista è immaginario, il giudice Mimmo Castelli, coinvolto nelle indagini di un terribile incidente stradale che si rivela omicidio di ‘ndrangheta. La narrazione, sebbene sia perlopiù costituita da elementi di fantasia, ha in realtà un fondamento di verità. In particolare, l’incipit è completamente realistico e l’intera storia nasce da una confessione del pubblico ministero. Gli anni che fanno da sfondo al racconto, tra organizzazioni criminali, sequestri e la caduta della Democrazia Cristiana, riflettono un periodo ricco di criticità per la Calabria. A Reggio il comune viene commissariato, sembra che qualcosa si stia smuovendo. Viene eletto il primo sindaco comunista: Italo Falcomatà. Se la politica non è tematica preponderante, a meno che non sia quella di base, dice l’autore, lo sono legalità e giustizia. “Tutti noi abbiamo un rapporto ambivalente con la Giustizia”, afferma Gallico. Da una parte ci dà una protezione quasi materna, dall’altra ci opprime. Vi è una terza prospettiva da cui osservare la giustizia, forse quella più importante, reputandola riparativa. Oltre a politica e legalità, da non credente, Gallico affronta nella narrazione l’argomento religioso. Introduce un personaggio in particolare, un sacerdote, che contrasta l’immagine della chiesa che sosta di fronte alle abitazioni dei boss mafiosi durante le processioni. Menzionandolo cita Don Giacomo Panizza, altro importante ospite al festival di Trame. Lo scrittore conclude la conferenza dichiarando, in risposta a una domanda del conduttore, che “Il Dio dello stretto” è un libro per tutte le età, “per tutti gli esseri senzienti capaci di leggere. La lettura è un atto solitario e contemporaneamente adatto alla comunità”. Continua poi definendo la sua opera un libro “rischioso” in quanto “la letteratura ti insegna la complessità umana” e, appellandosi a Dostoevskij, spiega che non sempre è tutto bianco o nero, esiste anche la fragilità.