Un viaggio attraverso i ricordi legati alla sua terra e uno studio accurato del fenomeno della ‘ndrangheta. Nella ricostruzione storica Anna Sergi parte dal cuore dell’Aspromonte del la seconda metà del secolo scorso, una terra bellissima che in quel periodo era teatro del terribile fenomeno dei sequestri di persona, passando per la sua Limbadi fino ad arrivare al porto di Gioia Tauro.
L’inferno ammobiliato: «Il titolo mi è venuto in mente nuotando la scorsa estate mentre il libro era in fase di chiusura», e qui l’autrice entra nel merito della scelta di questo nome per la sua opera, «stavo rileggendo Alessandro Pizzorno, un sociologo che non ha mai studiato la mafia ma che se l’avesse fatto l’avrebbe capita meglio di altri». La scrittrice e accademica cita come fonte d’ ispirazione uno degli scritti in cui Pizzorno analizza il familismo morale del Mezzogiorno , criticando l’idea che solo la famiglia rappresenti il centro del mondo e che sia la stessa l’unica portatrice di moralità, insieme a una disamina legata proprio alle terre dimenticate del Sud Italia: «La sua visione era questa: tutti noi che guardiamo da fuori un luogo marginale e lo vediamo “in fiamme” ci chiediamo come faccia la gente a viverci e quindi a non fuggire o a non ribellarsi. Lui spiega questa sua idea di “ammobiliare l’inferno”, dove ogni sforzo compiuto per migliorare in realtà non faccia altro che “sistemare” la miseria per non percepire più le fiamme . Per me questa immagine è molto rappresentativa dei luoghi che studio e di cui parlo».
Secondo l’autrice l’esigenza che ha ispirato questo scritto è dovuta alla frustrazione che spesso accompagna il tentativo di spiegare la Calabria all’estero, in particolar modo quando si tocca il tema ‘ndrangheta. Il percorso impresso nelle pagine è accompagnato da un tratto fondamentale (non solo quello chiarificatore che mira a sfatare i miti “che vittimizzano i calabresi”) l’emotività. Un tratto che emerge grazie alla figura di sua nonna, originaria dell’Aspromonte: «Ho scritto questo libro con la guida spirituale di mia nonna, lei è la mia personale madonna della montagna e lei che tiene insieme l’Aspromonte e i suoi linguaggi».
Un libro impattante che Pietro Comito definisce così: «Non è la solita saggistica già vista sulla storia della ‘ndrangheta, è uno spaccato emozionale di una bimba calabrese che oggi è una grande intellettuale di questa terra e che offre un tributo dei suoi ricordi a ciò che ha amato e che ama ancora»