L'Alfa 166, sbandata sulla sinistra, gli sbarrava quasi per intero la carreggiata della provinciale Caltabiano-Mezzojuso. Era ridotta a un colabrodo. Il parabrezza completamente sfondato. Sparsi sul piano stradale un numero impressionante di bossoli di grosso calabro, in apparenza di Kalashnikov o di mitraglietta Skorpion. Aveva fatto il militare nella Folgore e di armi ne capiva. Scese dall'abitacolo e si avvicinò all'Alfa. Il sole era già alto e faceva caldo.
Un resoconto in presa diretta di un complesso e difficile processo di Corte d'Assise, dove le iniziali apparenze si tramutano, grado a grado, in tutt'altre sconvolgenti e intricate verità. Dietro le quinte una singolare e complicata partita a scacchi tra due improbabili giocatori: il presidente della Corte, Nicola Mendolía, e il capo-mafia imputato, don Onofrio Caccamo. Vi irrompono di volta in volta, incisivamente, a sostegno dell'uno o dell'altro, imprevedibili comprimari. E la posta in gioco della partita diventa, a un certo punto, la vita del presidente della Corte. Perché, quando l'accusato capisce che le false prove a discolpa, preordinate con la complicità di personaggi insospettabili, si sono rivelate tali e che le mosse suggerite proprio dal giudice al giovane sostituto di udienza suonano fatalmente la campana a morto per lui, ordina ai suoi uomini in libertà di uccidere il suggeritore per fermarne le iniziative e impedire il precipitare degli eventi. Ma l'agguato, per una serie di casuali e banalissime circostanze, fallisce. E però le complicate scansioni del processo, lungi dall'esaurire i temi della narrazione, finiscono poi col rappresentare la cornice dentro la quale vive e ribolle, con tutte le sue contraddizioni, una certa società meridionale, anche quale metafora di una certa Italia. Un quadro vivace e polifonico, intrecciato alle vicende del processo, di grande suggestione ed efficacia, improntato a un realismo rigoroso, tuttavia mai pedante, dentro il quale assume particolare risalto la profonda umanità del personaggio Mendolía, per niente confinato nel freddo stereotipo del giudice integerrimo. Anche se assolutamente determinato a fare sino in fondo il proprio dovere senza debolezze o cedimenti, Mendolía vive il suo difficile ruolo nella disincantata consapevolezza dei limiti della Giustizia umana. Ha passato i cinquant'anni e ha una vita privata complicata. Appassionato di musica, soprattutto classica, scrive le motivazioni delle sue sentenze sulle note, diffuse a basso volume da un sofisticato impianto stereofonico, delle sinfonie e dei preludi dei più famosi compositori del passato. Un personaggio a tutto tondo, attorno al quale in definitiva ruota la trama narrativa e che, con le sue debolezze e il suo non voluto eroismo, pur nella fosca severità di un quadro d'insieme cupo e drammatico, finisce, tante volte col far sorridere il lettore.