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Verrà mai arrestato Matteo Messina Denaro?

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di Maria Elena Saporito e Lydia Masala


A Trame.10 la proiezione della docu-inchiesta sulle tracce del superlatitante Matteo Messina Denaro, curata da Giovanni Tizian e Nello Trocchia.
Matteo Messina Denaro, “il grande assente”, è un boss imprendibile da ormai 28 anni, responsabile della strategia stragista che ha insanguinato l’Italia nel 1992 e 1993. Nato nel 1962 a Castelvetrano, in provincia di Trapani, figlio di capomafia e rampollo d Totò Riina, latita a seguito delle accuse per associazione di stampo mafioso, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materie esplodenti, furto nonché di essere uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Fu tra gli organizzatori, tra l’altro, del sequestro nel 1993 del piccolo Giuseppe Di Matteo, che fu poi strangolato e sciolto nell’acido.
Per far funzionare la fuga crea un’alternativa alla mafia di primo conio, più legata ai vincoli famigliari, a reati specifici come l’estorsione, volgendo verso una mafia imprenditoriale. 
Nel documentario lo scarto è reso evidente da Totò Riina che, a proposito di Messina Denaro, dice testualmente “chillu s’occupa di pale”, [quello si occupa delle pale eoliche] visto l’interesse del boss trapanese ad accumulare capitali attraverso le energie alternative. Un’immagine che rende chiaro il totale disinteresse della “vecchia mafia” a questa nuovo modo di alimentare la criminalità.
Matteo Messia Denaro, sottolinea Trocchia, è infatti un amante della bella vita, delle belle donne. Ha avuto numerosi rapporti sentimentali durante la latitanza e addirittura una figlia. Perché possa portare avanti un tale stile di vita anche in clandestinità e alimentare quel potere e quella rete necessita di denaro, di complici e soprattutto di imprenditori che lavorino e offrano lavoro. Fa quindi transitare la mafia verso una fase nuova, più imprenditoriale, più degli affari. A fronte delle stragi sul continente si occupa di creare una connessione nuova con la politica, anche in seguito alla fine del sistema pentapartito. È un latitante che è riuscito a portare la mafia in una nuova e compiuta dimensione imprenditoriale. 
Questo non basta però a renderlo uno degli uomini più ricercati al mondo; di Messina Denaro si sa ancora poco e il mistero concorre a creare un alone quasi mistico intorno alla sua figura. Per Trocchia esistono fatti, quali la sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino e della “valigia dei segreti” di Totò Riina, e supposizioni per cui questi potrebbero essere nelle mani di Messina Denaro. Il giornalista ricorda l’imperativo di distinguere tra benefattori come Falcone e Borsellino che perseguivano la strada della giustizia e della legalità, in condanna di qualsiasi tipo di interlocuzione, e altri attori che invece riconoscendo la mafia come potere presente sul territorio ci fanno affari. Quando si è stati vicini alla cattura ci sono state talvolta fughe di notizie, talvolta retate che hanno portato all’arresto dell’ultimo anello prima di lui. Queste non sono chiaramente prove ma tracce che, secondo Trocchia, ci dicono che rapporti di questo tipo sono una realtà; non spiegano la mancata cattura ma forniscono un contenuto di comprensione sul perché non sia ancora avvenuta.
Il potere di Matteo Messina Denaro è pervasivo anche se visto dal punto di vista della legittimità percepita: il cittadino riconosce l’imprenditoria mafiosa come attiva e presente mentre quella di Stato come passiva, assente e fallimentare. Questo elemento segna ancora la presenza mafiosa radicata nel territorio. La percezione che emerge anche nel documentario è che l’imprenditoria che agisce in un territorio a guida mafiosa sia quella che sta in piedi e che invece di contro l’imprenditoria con il marchio di Stato sia fallimentare – riferendosi in particolare alle aziende confiscate. 
È spontaneo domandare a Trocchia se secondo lui Messina Denaro verrà mai arrestato. La risposta è affermativa perché “come diceva Falcone è la mafia è un fenomeno umano e altrettanto lo sono i mafiosi”. Il giornalista prende a esempio Bernardo Provenzano, catturato nel 2006 in periodo di elezioni politiche, dopo 14 anni di latitanza. Un confidente aveva tuttavia individuato e permise alle forze dell’ordine di scoprire il covo del boss latitante già molti anni prima, ma il boss è riuscito a assicurarsi la libertà attraverso l’uccisione del confidente. Messina Denaro verrà sicuramente arrestato, ma quando e in che condizioni non si sa: il documentario si chiude con: “siamo sicuri che tutti vogliano prenderlo vivo e sano di mente?”. Trocchia teme di no, ciò non significa che non lo prenderanno ma che “uno che ama la vita sfarzosa sicuramente è refrattario al carcere”. Dopo una latitanza che latitanza non è stata, passare il resto della vita in carcere è una prospettiva che sicuramente lo spingerebbe a parlare, ma se parlasse distruggerebbe un sistema. Inoltre, ritiene Trocchia, se dovessero arrestarlo vivo e sano di mente “non molti saranno contenti neanche tra i buoni” – è importante infatti non dimenticare le zone grigie. L’arresto di Messina Denaro potrebbe obiettivamente, quindi, scompaginare un intero sistema. Per il momento, le ipotesi sono molte e arrivano presunti identikit da ogni parte del mondo ma Trocchia sente di dar credito alla dichiarazione di un amico del boss, Giuseppe Fontana detto Rocky, che sostiene che se Messina Denaro fosse morto avrebbero già consegnato il corpo per “liberare Castelvetrano dalla cappa del controllo di Stato e lasciare stare la famiglia”.

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