di Nicola Catania
Francesca Nava ( PresaDiretta Rai3), Sara Giudice (Piazzapulita La7) e Vera Politkovskaja in collegamento, nel libro “Una Madre”, parlano della vita e della battaglia per la libertà di stampa fatta da Anna Politkovskaja, giornalista di inchiesta per “Novaja Gazeta”, che raccontava la verità su soldati, banditi, civili, seconda guerra in Cecenia, corruzione, delitti e omertà della Russia di Putin.
Diventata simbolo di libertà di espressione, il nome di Anna Politkovskaja torna in auge dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, tra scenari imprevedibili nella Russia putiniana e tentativi di golpe di Stato da parte di Prigozhin, comandante dell’armata mercenaria Wagner, che tengono con il fiato sospeso l’intero mondo, ma di cui non si conosce fino in fondo. Questo perché occorre studiare la storia russa, uscendo dagli abiti occidentali, senza dover giustificare le nefandezze di Putin, la cui ascesa è una serie di fattori cumulati, dalla dichiarazione contro l’espansione NATO nel 1997 fino al tentativo di “deoccidentalizzazione” di Putin, l’educazione patriottica portata avanti come pilastro del suo progetto imperialistico e difesa dallo stesso, un progetto di lezioni per la manipolazione della storia post Unione Sovietica.
Nel libro si raccontano le atrocità del regime, le storie di chi in Russia combatte e si oppone, anche con la protesta in piazza, in un paese in cui “ tutti si sono dimenticati in fretta di Anna Politkovskaja…perché mantenere la memoria di persone come mia madre è pericoloso” (Vera Politkovskaja, “Una madre. La vita e la passione per la verità di Anna Politkovskaja”, Rizzoli)
Il ricordo di Anna è un ricordo sbiadito in Russia, una morte di 17 anni fa , ma il mito di Anna, di una madre non solo biologica, ma dell’umanità intera, dei senza poteri, delle vittime in Cecenia e dei soprusi del regime è presente nel mondo occidentale, perché era ed è ancora punto di riferimento della vittime. E’ anche indirettamente la storia di Vera, una figlia che ha patito le scelte fatte dalla madre e tutte le sofferenze che riguardano il fantasma della morte della madre, come dover fuggire dalla Russia con sua figlia Anna, allo scoppio della guerra in Ucraina, vista la pericolosità del cognome “Politkovskaja” in generale, sapendo che il clima si sarebbe inasprito ancora di più, con un visto di entrata non lavorativo e con la sua vita ancora una volta stravolta. E’ la storia di una giornalista considerata reietta, definita la “Pazza di Mosca”, isolata e criticata dallo stesso giornalismo russo perché accusata di fare carriera sui morti e in Russia non c’era la protezione del giornalismo d’inchiesta anti sistema - o meglio anti regime.
Lo stesso Putin, riferendosi alla morte di Anna, affermò sprezzantemente: “La sua influenza sulla vita politica russa era minima”.
La vita di Anna trasuda di senso civico, mettendo al primo posto il racconto di storie che nessuno avrebbe mai raccontato in Russia, come quella degli oltre 40 terroristi ceceni, che ,il 23 ottobre 2002, irrompono nel teatro Na Dubrovke e tengono in ostaggio in un teatro migliaia di persone- tra le quali sarebbe dovuta esserci Vera- e Anna che si offre come mediatrice accettata per la sua autorevolezza e la sua credibilità da ambo le parti, chiedendo di sospendere gli attacchi ai ceceni e litigando più volte con uno dei terroristi.
La sua autorevolezza è stroncata dagli stessi russi, che il 26 ottobre fecero irruzione nel teatro causando centotrenta vittime tra gli ostaggi, oltre la morte di cinquanta terroristi. Anna Politkovskaja, senza scorta, assassinata lo stesso giorno del compleanno di Putin, il 7 ottobre, a casa sua come avrebbe chiamato l’operazione militare speciale in Ucraina, iniziata il 24 febbraio 20222? ”L’avrebbe chiamata guerra”, afferma Sara Giudice, e mentre molti giornalisti fuggono o vengono arrestati in Russia, lei, amando il suo paese, avrebbe raccontato la guerra direttamente dall’Ucraina.
La morte di Anna dopo 16 mesi di guerra, secondo Sara Giudice, agli occidentali lascia qualcosa di prezioso, un testamento eterno, una lezione di giornalismo, di passione e di libertà, ma in Russia non ha avuto grande riscontro, se si cerca di ricordare lei per ricordare chi sta combattendo il regime e non ha provocato alcun sentimento di sdegno nella collettività russa, perché “in Russia la società è addormentata, anestetizzata che non è abituata come coscienza collettiva al dissenso. È una società abituata al patriottismo, al nazionalismo, il dissenso è percepito come infedeltà”, nonostante sia cambiata la percentuale delle persone in Russia capace di raggirare le censure, in un paese governato da una “ cupola mafiosa”- definita così da Francesca Nava-,ossia Putin e gli oligarchi.