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Trame12. Fuori dal sistema

Sul finire della seconda giornata del Festival del Libro sulle mafie, la presentazione dell’ultimo volume di Luigi De Magistris con Rocco Vazzana

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"Una vita senza compromessi, divisa a metà tra Catanzaro e Napoli, tra toga e fascia tricolore”, si apre così l’evento dedicato alla presentazione del volume autobiografico di Luigi De Magistris, ex sindaco di Napoli e Magistrato, dal titolo Fuori dal Sistema, un volume in cui far coniugare il binomio Rivoluzione e legalità, come sottolinea Rocco Vazzana.

La riflessione si sposta sin da subito su come il paese presenti il terreno fertile perché si parli di mafia con atteggiamenti formali che riescono a invadere le alte sfere con facilità. Va da se come sia importante fermarsi a ragionare sulla riforma della giustizia che renderà molto complicate le indagini contro i colletti bianchi compromessi. È il caso delle limitazioni per l’uso delle intercettazioni, che tuteleranno solo determinati soggetti. Nonostante tutto, l’attacco al potere correntizio degenerato non ha mai fermato il fermento culturale di cui l’ex sindaco si è fatto portavoce durante il suo governo. 

L'abuso d’ufficio si trova, dunque, ad essere diviso in non patrimoniale e patrimoniale, il primo andrebbe sicuramente rivisto. Nel secondo caso, invece, è da sottolineare come gli esponenti del governo vivano perennemente con il timore e il terrore di incappare in procedimenti disciplinari, come se l’informazione di garanzia sia una condanna; questa è una cattiva interpretazione, perché, bisogna dirlo,  si è colpevoli finché non si dimostra il contrario. È, quindi, necessario cambiare la mentalità, anche in termini di comunicazione.

Nel libro si fa riferimento agli anni di Tangentopoli, una lettura che fa sorgere il dubbio su come le procure usino e abbiano usato in passato i mezzi di comunicazione per dirigere e manovrare il potere, mettendo sotto scacco i media e di riflesso la magistratura. Di certo non si può ovviare puntando su una comunicazione che si basa sulla censura, perché in questo caso si parlerebbe di dittatura, sarebbe però necessario che si eviti di riportare sulla stampa anche le conversazioni private che provengono dalle intercettazioni usate nelle indagini. Bisogna ritornare ad essere un paese corretto. 

Come si fa dunque a mantenere in equilibrio il diritto alle informazioni e alle indagini? Attraverso la competenza e la professionalità di uomini e donne delle forze dell’ordine che utilizzeranno le intercettazioni utili alle indagini, evitando i dettagli della vita privata che ricadrebbero ad essere puro gossip colpendo nel privato dell’individuo e puntando all’umiliazione pubblica.

Falcone, non a caso, diceva che è sufficiente seguire il denaro e il suo spostamento per cogliere i rapporti che la criminalità organizzata può avere con gli indagati, quindi le intercettazioni sono extra non fondamentale o su cui comunque non si può basare interamente una indagine.

Uno dei problemi principali del nostro Paese sta nel fatto che la salvaguardia di alcune tipologie di indagine in cui gli indagati sono solo “ladri di polli” ha un foro duro, contrariamente le indagini che riguardano determinate cariche e determinati poteri ha tutt’altro foro giudiziario: «quando entro in tribunale e leggo “La legge è uguale per tutti”, se metto la toga mi viene da leggere “La legge dovrebbe essere uguale per tutti”, ma in realtà non lo è. E non lo dico per deprimere, ma per scuotere gli animi!»

Dalla lettura del libro emerge l’immagine di un Pubblico Ministero che non è alla ricercare del consenso, ma di un PM popolare alla ricerca della verità a carico e a discolpa dell’accusa, senza timori. Da qui De Magistris rimanda ad un aneddoto personale sul suo arrivo in Calabria nel 1995, proprio in quella occasione chiese l’elenco dei condannati in Calabria per corruzione nei 10 anni precedenti il suo arrivo, il risultato  fu disarmante: solo cinque persone erano state condannate, questo perché le carceri non detengono i potenti della criminalità organizzata, lo era in passato e lo è tutt’ora.

Un rimando ovvio e dovuto viene richiesto in merito ai funerali di Silvio Berlusconi, e sulle modalità adottate. A Berlusconi, l’ex sindaco di Napoli,  riconosce la coerenza delle proprie azioni, ma quello che è necessario dire sulla sua morte, con tutto il rispetto per il dolore della famiglia, sta proprio nella tipologia di funerale effettuata: una tre giorni di funerali di stato, un lusso che non è stato riservato a personaggi del calibro di Falcone e Borsellino, ma che sono spettati ad un capo di partito il cui fondatore è stato condannato in via definitiva per mafia. In questo sta la manipolazione della comunicazione di un politico che ha detenuto il proprio potere perché proprietario di reti radiofoniche e televisive.

Si è trattato comunque di un uomo che ha fatto la storia del nostro paese, un uomo coerente, che ha scritto una pagina seppur nera della nostra politica.

Un interrogativo viene posto anche nei confronti della posizione politica che tende a sinistra ma che non si rivede assolutamente nel PD e che mette in discussione le attuali azioni difformi da quanto dichiarato dell’attuale Segretaria Elly Schlein, sottolineando come la forza di capo politico stia non tanto nelle parole, ma nei fatti.

A conclusione dell’incontro una domanda sentimentale fa trapelare un pizzico di malinconia nella voce dell’ex sindaco: “Quanto le manca la toga? Moltissimo, è stato il mio sogno da sempre, ho studiato per questo. Una professione che mi ha portato a scegliere di stare tra la Calabria e Napoli, perché ne ho percepito una grande e uguale fragilità, ma non mi pento delle mie scelte. Questo perché alla fine della vita non ti chiederanno se sei stato credente, ma se sei stato credibile”.

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