di Maria Concetta Di Cello
Il quarto appuntamento della quinta giornata di Trame.12, “Il coraggio delle donne contro i boss”, ha visto Marzia Sabella, dal 2017 procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, e il giornalista e scrittore Gaetano Savattieri discutere sul tema delle donne legate alla mafia, partendo dalla storia di Serafina Battaglia, raccontata nel libro “Lo sputo”.
L'incontro è stato aperto da Savattieri che ha esordito chiarendo come il libro vada oltre gli eventi fattuali legati a una storia di mafia: è un racconto/romanzo. La figura della proragonista, Serafina Battaglia, per la sua singolare personalità, è stata più volte accostata nel corso dell’incontro alle donne narrate dai cantastorie di un tempo e alla Medea di Euripide.
L'attenzione è stata spostata su cosa avesse maggiormente colpito la Sabella intorno alla figura di “Fina”. Alla domanda di Savattieri, l’autrice ha risposto dicendo di essersi interessata alla sua figura nel 2018 mentre lavorava alla legge che avrebbe portato a distinguere i testimoni di giustizia dai collaboratori; da una parte gli innocenti che testimoniano, dall’altra i cosiddetti “pentiti”. Tuttavia, la Battaglia non può essere collocata né nell’una né nell’altra. Nonostante non avesse mai preso parte in prima persona a operazioni mafiose, fu lei a incitare suo figlio alla vendetta del padre consigliandogli di uccidere.
La protagonista deciderà di denunciare solo dopo la morte del figlio e non di fronte a quella del compagno, reputando il figlio “picciriddu”, nonostante avesse superato i vent’anni. Dunque, Stefania Battaglia non fece altro che rivolgersi alla giustizia per punire i mafiosi per non aver rispettato la legge secondo cui i bambini non si toccano. La sua denuncia fu la migliore forma di vendetta contro i mafiosi poiché attraverso la spettacolarità dei suoi gesti, di cui lo sputo ne è l’emblema, diede alla società civile un’immagine della mafia che non piacque ai malavitosi.
Sebbene alle donne del tempo non fosse riconosciuta attendibilità, dal momento che si reputava erroneamente che la donna fosse totalmente estranea ai fatti della mafia, le fu dato spazio da Cesare Terranova che consentì a Serafina Battaglia di uscire dal silenzio e fare luce dall’interno. Comprese la forza delle sue parole che “divennero pietre”. Inoltre, i fatti da lei raccontati dimostrarono come anche le donne dei mafiosi sapessero o quantomeno avessero il sentore di quanto accadesse.
La scrittrice ha confermato che quella siciliana sia una cultura fondata sul “matriarcato silenzioso” in cui “gli uomini comandano, ma sono le donne che decidono”. Le donne, infatti, non solo conoscono i progetti degli uomini ma hanno un forte ascendente sui maschi della propria famiglia, primi su tutti i figli.